Scritti
Ma quelli che,
accettando il discorso della
guerra, si sono fatti ridurre a idioti; idioti nel senso etimologico
del termine greco, individui privati, che non hanno ruolo pubblico,
incapaci cioè di agire e di incidere sulla realtà
sociale semplicemente perché non la vedono e non la riconoscono
e, anzi, la travisano al punto tale da identificare in un nemico
esterno la causa di infelicità, insicurezze, terrori e
angosce che dovrebbero ricercare nella ragnatela di ingiustizie
e di ineguaglianze in cui la loro vita si dibatte; costoro, aconsentendo
alla menzogna, si fanno complici della semina di un raccolto che
non può non essere un raccolto di morte. Che li trasforma,
e ci trasforma tutti quanti, in bersagli.
Perché avviene che quelli che la guerra non la vedono alla
televisione ma la subiscono ogni giorno, ci rivolgano lo stesso
sguardo con cui molti di noi li guardano. Lo sguardo del nemico.
Uno sguardo che generalizza e non distingue. Cioè, ancora
una volta, uno sguardo che non vede.
I quotidianamente massacrati è ben difficile che possano
vedere in me Giulio Stocchi, l'autore della Cantata rossa per
Tall el Zaatar, il poeta gentile che parla di tenerezza e
di fiori, ma piuttosto ravviseranno in me il rappresentante di
quell'occidente che conoscono, quello che li bombarda ogni giorno,
che sbriciola le loro case, che gli piscia addosso, che li trascina
nudi al guinzaglio. L'occidente che odiano. E, in quanto appartenente
alla classe degli occidentali, attribuiranno a me, e in massimo
grado, tutte le caratteristiche odiose che l'occidente ha ai loro
occhi. Appplicheranno cioè nei miei confronti quella che
lo psicanalista Matte Blanco chiama la logica simmetrica. Una
logica letteralmente e clinicamente folle. La logica della guerra.
Non a caso i soldati indossano l'uniforme e portano al collo una
piastrina: non sono individui, sono numeri.
In "Sevitium", marzo-aprile 2005